una nuova vita

capitolo 11

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  1. lady_crossbow
     
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    Capitolo 11 : War (Parte 1)

    Kendra

    Le lancette marciavano scandendo il flusso del tempo. I secondi, i minuti, le ore. Attesa. Un’ attesa spinata. Il corpo fremeva, pur restando chino al susseguirsi dei movimenti circolari delle tre sottili sbarre. Niente era in nostro potere. A noi spettava solo il compito di portare pazienza. Avrei preferito trovarmi in un qualsiasi altro luogo o addirittura essere diventata un putrefatto. Zero preoccupazioni, solo fame insanabile. Sarebbe stato sicuramente più semplice. Il sole ardente illuminava l’area, quella che avrebbe svolto il ruolo di palcoscenico. Noi eravamo gli attori, coloro che avrebbero dato vita ad un avvincente spettacolo. Peccato che disponevamo di un esiguo pubblico, il quale era caratterizzato unicamente da non morti. Non ci sarebbero stati applausi al termine della rappresentazione, mazzi di fiori o complimenti, ma solo cadaveri. Impugnavo smaniosa l’MP5 che mi avevano assegnato, nella speranza che quell’oggetto mi consentisse di allungare il destino imposto dall’alto o meno. Ognuno si trovava alla propria postazione, pronto a fronteggiare uno scontro che persone sane di mente avrebbero tranquillamente potuto evitare. Ma in quella realtà, nessuno più era stabile. Anche se non tutti lo davano a vedere, quella era la verità. Inutile aggrapparci al ricordo di chi eravamo in passato. Ci eravamo evoluti. Rick scrollò le spalle, cercando di allentare la tensione muscolare. I suoi occhi miravano la recinzione, vogliosi di scorgere nella vegetazione i passi del nemico. Una ventina di putrefatti erano ben visibili, ma ne sarebbero arrivati molti di più dopo il primo sparo, la prima pallottola caduta al suolo. Il piccolo orologio dal quadrante nero ossidiana che mi ero legata al polso destro, segnava incurante le undici di mattina. Mi trovavo di fronte ad una delle tavole di legno che avevo posizionato assieme alla spadaccina, le quali sarebbero state utili come scudi per le scariche di mitra. Dei potenziali ripari, sebbene poco resistenti. Daryl disponeva inoltre di un fucile a pompa, model 1887. Un bell’oggetto. Gli altri si lanciavano di tanto in tanto qualche occhiata, chiedendo quale senso avesse restare là immobili come cani da guardia, ma nessuno aveva il coraggio di interrogare lo sceriffo, rispettando il suo volere. Tanto, niente avrebbe fatto la differenza. Carl sembrava il più agguerrito, fiamme al posto delle pupille. Hershel, il quale aveva preso posto al fianco del ragazzo, guardava oltre le proprie spalle, mirando il blocco. Beth si trovava all’interno col compito di proteggere la piccola spacca culi, soprannome fornito dall’arciere. Le avevamo lasciato delle armi ed uno zaino ricco di provviste, in modo che se la situazione avesse preso una brutta piega, lei avrebbe potuto fuggire dal campo di battaglia, assicurandosi la sopravvivenza di entrambe per almeno qualche giorno. Quello che sembrava un lontano ronzio, si fece sempre più vicino, presentandosi come rombi di motori. Stavano arrivando. Le nostre figure si fecero rigide, quasi statuarie. Due jeep ed altre auto si allinearono al cancello, poi dalla fitta flora apparve la nostra nemesi. Un carrarmato su cui sedeva impettito il Governatore. Gli uomini a cavallo e a piedi si occuparono dei putrefatti accalcati alle reti. Una volta liberato il terreno da quelle piaghe, Philip scese portando le braccia ai fianchi. Il suo volto era disteso, rilassato. Il profumo di ferraglia e sangue lo eccitava. Era felice di trovarsi lì, era felice di farla franca. Se fosse stato per me, avrei già sparato a quel pezzo di merda da una delle torrette, ma Maggie e Carol si attennero al piano. Avremmo fatto fuoco solo se i nemici per primi avessero aperto le danze. Rick fece qualche passo avanti.

    -Mi pare di vivere un dèjà vu! – affermò il bendato.

    Gli uomini del suo battaglione risero, ma Rick non si scompose.

    -Stavolta il tuo culo marcirà su questo terreno.

    Daryl guardò l’amico stranito, come se non si fosse aspettato una risposta del genere. Solitamente lo sceriffo restava diplomatico anche nelle situazioni delicate. Ma Philip non si curò della minaccia e mi puntò.

    -Mi sorprende vederti ancora in vita. Cos’è, questi idioti non hanno ancora capito che razza di persona sei?

    Non caddi nella provocazione e mantenni la canna dell’arma dritta a mirare il petto.

    -Non credo che tu abbia ancora capito con chi hai a che fare. – ringhiò Rick.

    -E’ proprio perché l’ho capito, che sono sicuro vincere.

    D’improvviso, un silenzioso proiettile perforò la spalla di Carol, la quale si accucciò immediatamente. Di conseguenza, Maggie fece lo stesso, temendo di essere colpita. Alcuni cecchini si erano nascosti nel bosco. Nell’esatto momento in cui tutti ci riparammo, il carrarmato esplose in un boato, distruggendo il cancello di ferro massiccio. E quelli avanzarono, facendo il loro ingresso nel cortile. Un pioggia, anzi, un temporale di proiettili si abbatté sulla prigione. Una prima scarica di mitra fu gettata su di noi, con l’intento di spaventarci e spezzare parte dei ripari che avevamo progettato. Nel mentre un pullman avanzò a grande velocità, abbattendo la recinzione. Restando con la schiena poggiata alla tavola, scrutai ciò che avveniva nel cortile attraverso il riflesso di uno specchietto laterale dell’auto, che avevo accuratamente posizionato. Un uomo scese frettoloso, aprì i portelloni del bus e raggiunse i propri compagni. I mitra si ammutolirono, lasciando che divenissero protagonisti dei lamenti strazianti. Cazzo. Un fiume di non morti sfociò nel campo, avanzando nella nostra direzione, essendo noi più vicini. Avevano fatto ciò in modo che terminassimo gran parte delle munizioni per liberarci dei vaganti. Le due donne fecero capolino dalle torrette sparando sia ai non morti più a noi vicini che ai soldati. Hershel e Carl, trovandosi nel piano rialzato, ebbero la possibilità di coprirci. Noi quattro, ancora seduti contro gli scudi, balzammo e ci esponemmo. Sparai alle spalle dei putrefatti, mandando in frantumi alcuni parabrezza delle auto, poi afferrai il tirapugni bilama e mi apprestai a fracassare qualche cranio. Le vetture erano molto distanti rispetto al blocco. Gli altri fecero lo stesso, colpendo prima a fatica qualche nemico non più riparato dalle macchine ed estrassero le lame, in modo da non sprecare inutilmente proiettili. Infiltrare i putridi risultò una mossa sì efficace, ma anche controproducente. Questi non erano solamente attratti dal nostro odore, ma anche da quello dei soldati che, inoltre, sparavano destando loro interesse. In sostanza, eravamo tutti nella merda. Michonne affettava alcuni corpi logorati dall’infezione.

    -Sfondate il recinto con le auto. Prendete le armi, entriamo. – ordinò Philip – Uccideteli!

    -Ricevuto! – gridò un nemico – Muoviamoci.

    Le auto sfondarono le recinzioni, una dopo l’altra. In un battito di ciglia i nemici avevano già conquistato terreno, entrando nel perimetro oltre il cortile. Se fino a quel momento la distanza aveva giovato a nostro favore, permettendoci di scampare a qualche pallottola, ora non era più possibile. Il carrarmato tossì nuovamente, colpendo l’edificio in alto. Un forte calore si irradiò e il suolo prese a tremare. Rinfoderai il tirapugni e presi l’arma da fuoco. Le posizioni, il piano ideato, svanì tutto in un secondo. Ognuno di noi prese logicamente direzioni differenti, in modo d’assicurarsi un buon riparo ed un’ottima visuale. Dovevamo fuggire sia ai vaganti che ai soldati, in gran numero rispetto a noi. Vidi Carol e Maggie abbandonare le torrette e scendere in battaglia. Alcune scariche colpirono la parete che mi fungeva da copertura. Con la coda dell’occhio notai Shumpert avanzare quatto. Caricai l’arma e feci fuoco spostandomi velocemente verso una delle nostre auto, in modo da ripararmi. Non c’era più affetto o amicizia, per lui ero solo una da uccidere. Senza esitazioni lo colpii, perforandogli la giugulare, la quale zampillò di rosso vivo. Mentre correvo, vidi una bomba a mano scivolare abbastanza vicina ai miei piedi. Le tirai immediatamente un calcio per allontanarla e mi gettai dietro la vettura. Un esplosione provocò un secondo tremore. L’auto sobbalzo. Non avevo tempo di guardarmi molto intorno, cercavo soprattutto di non farmi uccidere, ma avevo promesso al gruppo che li avrei aiutati ed era quella la mia intenzione. Inspirai e mi sporsi, esaurendo un altro caricatore. A terra si stavano accumulando molti corpi, non vi era più distinzione fra infetti e no. Cercai disperata di scorgere Philip, temevo di trovarmelo di fronte, ma fui disturbata da una pallottola che si piantò nella mia coscia. Mi fiondai di getto dietro una parte di recinzione rinforzata da alcune assi di legno. Porca puttana. I jeans si impregnarono di sangue. Mi buttai culo a terra, serrando la mascella. Frizzava. Cercai di guardare attraverso alcuni spazi fra le tavole che avevamo disposto sulla rete metallica, per capire se vi era qualche soldato nelle vicinanze od un cecchino ben nascosto, e proprio quando scorsi Martinez una mano mi afferrò, spingendomi la schiena in basso.

    -Giù! – gridò Daryl.

    Martinez ci caricò pieno d’ira finché l’arma scattò a vuoto, costringendolo a rifugiarsi. L’arciere gettò via il fucile a pompa, avendo terminato le munizioni, e prese un AK – 12.

    -Sei ferita? – chiese caricando l’arma.

    -Mi hanno colpito ad una gamba, niente di grave.

    Prese uno dei suoi pugnali ed affettò il jeans all’altezza del foro.

    -Dobbiamo controllare se è fuoriuscito il proiettile.

    Lo bloccai, non era il momento di mettersi a fare gli infermieri. Non era sicuro. Ci acquattammo lungo le pareti, sparando ad ogni nemico che spuntava da un angolo. Daryl saltò addosso ad un soldato, piantandogli la lama nella gola. Lo privò delle granate e corse in direzione del carrarmato. Io lo coprii, eliminando coloro che lo minacciavano. Martinez mi colpì alla nuca con il calcio del fucile e mi fu addosso. Spinse via l’MP5 che mi era caduto e mi sferrò un colpo allo stomaco con la punta degli anfibi. Si sedette sopra di me, prendendomi a pugni il volto. Ma fece in tempo a tirarmene due che già gli affondai il tirapugni nel petto. Questo urlò dal dolore, mollando la presa. Approfittai di ciò per colpirlo in volto, dritto sul naso. Stordito, cadde di lato.

    -Puttana! – sputò.

    Dolorante mi alzai a fatica, reggendomi sulla gamba sana. Estrassi la mia glock 19 mm e sparai. Una pozza di sangue si formò intorno alla sua testa. Mi sei sempre stato sul cazzo, pensai. Vidi Carl destreggiarsi bene con alcuni vaganti, allora spostai lo sguardo in cerca di qualcuno a cui dare una mano. La situazione era caotica. Spari su spari. Rumori metallici. Grida. Zombie. Era difficile concentrarsi. Daryl uccise un altro nemico sparandogli in pieno petto e fu vicino al carrarmato quando questo fece fuoco di nuovo, mandando in frantumi un’ala del blocco. Beth doveva fuggire, ma vi era la possibilità che alcune macerie avessero ostruito il passaggio o qualche corridoio. Dovevo accertarmene. L’arciere saltò, infilando la granata nel cannone di quel mostro metallico. Implose, uccidendo il conducente. Maggie e Carol si nascosero dietro una parete, ormai prive di munizioni. Lanciai loro la mia arma e le rispettive munizioni, tenendo unicamente la mia pistola. Mi affrettai a raggiungere l’entrata nel blocco, quando vidi Hersh zoppicare al suo interno. Avrebbe pensato lui a sua figlia. Ora che il carrarmato era fuori uso, nel blocco sarebbe stato più al sicuro. Mi avvicinai a Michonne, la quale sanguinava all’altezza del sopracciglio sinistro.

    -Hai visto dov’è andato quel pezzo di merda? – chiese con il fiatone – Mi ha rubato la spada.

    Risposta negativa la mia. Sparammo a qualche soldato, avanzando lentamente in cerca del Governatore. Non poteva essere andato tanto lontano. Ci accostammo a Glenn, ormai pregno di sangue, fortunatamente altrui. Le munizioni stavano terminando, non avremmo resistito ancora a lungo. Presto ci saremmo dati sicuramente alla fuga. Notai un uomo robusto, alto, un vero e proprio bestione, assieme ad una ragazza molto magra. Entrambi di colore. Questi sparavano alla schiera di Philip.

    -Chi cazzo sono quelli? – domandai indicandoli.

    Glenn si accucciò e seguì il mio indice.

    -Sono due tizi che ci avevano chiesto di essere accolti, ma Rick non li ha accettati. Sono arrivati con il Governatore.. non so cosa stia succedendo.

    Si erano improvvisamente messi dalla nostra parte, abbattendo i loro ex compagni. Ultimamente era in voga voltare le spalle a Phil. Li lasciammo fare, finché non ci sparavano addosso non erano un problema. Rick spaccò con rabbia alcune teste di vaganti con un machete, quasi si trattassero di angurie. Sporco di sangue e fango, avanzava sfinito, barcollando un poco. Eravamo tutti un po’ acciaccati, ma per il momento nessuno era ferito gravemente. Informai lo sceriffo delle mie paure su Beth e decidemmo di arretrare, tornando nelle vicinanze dell’entrata del blocco. Michonne chiese al capo se avesse visto Philip, ma anch’egli l’aveva perso di vista nella mischia. Alcuni spari ci costrinsero a dividerci, impegnandoci ad eliminare diversi nemici. Rick corse alla prigione. Dal bosco, apparse una quantità smisurata di putrefatti. Una vera e propria orda. Non potevamo più stare lì, non era sicuro. Dovevamo fuggire, ma i soldati continuavano a sparare non curanti del pericolo alle loro spalle. Un urlo straziante si levò al cielo. Nonostante gli spari, le granate, la confusione.. quel grido primeggiò sul tutto. Vidi Maggie gettarsi a terra gemendo, sconvolta con occhi gonfi di lacrime. Mi voltai nella direzione di quella voce sofferta. Rick. Rick che fissava la porta del blocco. Davanti a questa, vi era Philip. Aveva qualcosa in mano, qualcosa che sanguinava copiosamente. La mia mente si bloccò e così il corpo. Quando i miei occhi ebbero focalizzato cosa teneva, mi sentii privata di ogni cosa. Svuotata. Il braccio destro, il quale era alzato in modo che tutti potessero vedere, mostrava la testa di Hershel.






    Parte 2

    Philip



    Il cecchino, come ordinato, sparò alla donna sulla torretta di guardia. Segnale che informava il conducente del pullman di sfondare la recinzione principale. Il gruppo si riparò inutilmente, credendo che le pallottole fossero l’unico problema. Pregustavo il terrore che si sarebbe formato nei loro occhi, una volta aperti i portelloni. Stavolta non me ne sarei andato, non avrei permesso che restassero in vita a lungo. Avevo pazientato fin troppo. Kendra si era rivelata un’incapace, una traditrice. Avevo sbagliato a credere in lei e peggio ancora, avevo errato a non ucciderla l’altra notte, quando ne avevo avuto l’occasione. Ma picchiarla mi aveva dato una piccola soddisfazione. Si era comunque rivelato inutile, ella ha deciso di continuare la guerra dalla loro parte. Scelta che gli sarebbe costata la vita. L’avrei uccisa con le mie stesse mani, così come avrei giustiziato brutalmente Michonne. Volevo morto anche il loro capo, Rick. Degli altri non mi importava, ci avrebbero pensato i miei uomini o gli azzannatori. Il conducente spalancò i portelloni, permettendo a quegli esseri di cibarsi di quei bastardi. Kendra mirò le nostre vetture, ma la distanza non le permise di avere una buona precisione. Il gruppo si sparpagliò nel panico. Tutto il loro finto coraggio si era prosciugato all’istante. Ero io a condurre il gioco.

    -Sfondate il recinto con le auto. Prendete le armi, entriamo. – ordinai– Uccideteli!

    -Ricevuto! – gridò un soldato – Muoviamoci.

    Salii su un auto. Abbattemmo anche le altre recinzioni, facendoci strada fra i fetenti. I miei uomini sparavano senza pietà. Abbandonai la vettura e mi appostai dietro al pullman. Caricai la pistola e tenni sotto controllo la situazione. Lasciai le prime mosse agli scagnozzi, i quali avrebbero seminato paura. Le loro difese erano alquanto scadenti. Non avrebbero resistito molto. Gli zombie avanzavano affamati, costringendoli a dividersi. In questo modo sarebbe stato più facile sopraffarli. Erano in trappola, condannati a morte ed io, il loro boia. Il carrarmato colpì la prigione. La figlia del pastore corse verso l’edificio, ma fu bloccata dalla compagna dai capelli grigi. Martinez le seguì. Shumpert prese di mira Kendra, ma questa fu più veloce, abbattendolo. Puttana. Dovevo ucciderla, mi faceva ribollire il sangue. Quella bastarda non avrebbe dovuto mettermi il bastone fra le ruote. Sparai, ferendola purtroppo solo ad una gamba.

    -Martinez! – chiamai – laggiù!

    Scaricò il mitra sulla recinzione dove si erano riparati il fratello di Merle e la troia. Nel frattempo mi spostai, cercando la puttana con la spada. Mi muovevo velocemente fra gli azzannatori, ammazzandone alcuni. Il carrarmato fece fuoco nuovamente. L’aria si scaldò. Bruciava quasi. Le grida, gli spari. Mi appagavano. Avevo distrutto il loro piccolo paradiso e li stavo portando per mano all’inferno. Il pastore si diresse all’interno. Bene, un uomo in un vicolo cieco. La mia prima vittima. Mi trovai di colpo di fronte a Michonne. Le mollai un pugno dritto in faccia, con tutta la rabbia che avevo in corpo. Quella donna mi aveva portato via tutto. Cadde a terra come una bambola e le rubai la spada. Avrei voluto assassinarla, ma uno zombie mi prese alle spalle. Lo decapitai. Il suo sangue mi bagnò il volto. Dannati esseri. Ma non era l’unico, altri azzannatori mi furono addosso. Riuscii a divincolarmi, ma persi la pistola. Entrai nel blocco. L’anziano era distante pochi metri. Chiusi con forza la porta di metallo, in modo che il suono si propagasse fra quelle mura. Quello mi vide ed arrancò in quella che doveva essere una corsa per fuggirmi. Osservai la lucente lama della katana, la quale mi rifletteva. Come mi ero ridotto. Una bestia. Quella benda. Il sangue. Non ero più l’uomo di una volta. Ero cambiato, in meglio forse. Avevo costruito un impero, avevo persone al mio sevizio, avevo convinto tutti che la guerra fosse pace. Ero un leader. E un leader non lascia nemici vivi. Mi incamminai fra quei corridoi con passo lento, sicuro. Lasciai la mano morbida, giocherellando con l’impugnatura della spada. Questa strusciava con la punta sul pavimento. Un rumore stridente, fastidioso. Un suono che annunciava la sua dipartita.

    -Beth! Beth! – gridava il pastore.

    Doveva esserci anche sua figlia, nascosta da qualche parte. I detriti, le macerie, lo rallentavano. Poi si fermò, come per arrendersi. Aveva capito che era finita. Non pronunciò parola, limitandosi a guardarmi con quei suoi occhi che professavano giustizia, buon senso. Mi stava facendo la predica, quel bastardo voleva farmi credere che era tutto inutile. Povero mentecatto. Strinsi la presa dell’impugnatura, levando al cielo quella lama affilata. Affondai. Nella giugulare, proprio come Shumpert. La sua camicia si immerse di un fiume cremisi. L’uomo cadde all’indietro. Gli occhi aperti, il respiro soffocato dal proprio sangue. Era ancora vivo. Le urla di una ragazzina mi distrassero dal contemplare quella pozza di linfa rossa. Doveva trattarsi di Beth. Fu preda ai singhiozzi. Balbettava parole come ‘papà – perché’. Ma non aveva il coraggio di muoversi, di farsi avanti. Restava al termine del corridoio, con lo sguardo fisso sul volto del padre. Lo spettacolo non era ancora finito. Avrei mostrato a tutti ciò che li aspettava. Mi accucciai sul pastore e fendendo nuovamente la lama, mi accanii su quel collo rugoso. Ad ogni colpo, quel liquido rosso ci imbrattava. La ragazza mormorava di fermarmi fra il pianto convulsivo. Ripetendo più volte a bassa voce di smetterla. Ma continuava a guardare, ad osservare la mia violenza, la foga. Finalmente riuscii a separare la testa dal corpo. Mi pulii il volto con la manica della giacca e mi avvicinai a quella smorfiosa insignificante. Per un attimo avevo pensato di eliminarla, ma subito la mente mi aveva proiettato un’altra soluzione. Ucciderla avrebbe alleviato solo il suo dolore, mentre io volevo che soffrisse in eterno. Perciò la lasciai lì, in compagnia del corpo del suo caro padre. Non avrebbe mai dimenticato quella scena. Mi sentivo onnipotente? Ovviamente sì. Spalancai quella dannata porta e, con odio, sollevai la testa dell’anziano, in modo che tutti potessero vederla. Il primo sguardo che la incrociò, fu quello di Rick. E ne fui immensamente felice. Lui non mi parve della stessa opinione, gridò. Un misto di rabbia e disperazione. L’avevo colpito, ferito più di una pallottola. Ero al centro della situazione, tutti gli occhi erano puntati su di me. Sui loro volti si erano formate espressioni di dolore, incredulità, quasi fossero frastornati. Ma quella era la realtà, non si sarebbero mai svegliati dall’incubo. Il gruppo si mosse per venirmi incontro, ma furono bloccati dai miei scagnozzi e da un’orda di azzannatori che si faceva sempre più vicina. Mancava ormai poco alla loro resa. Rick, essendo stato più distante, fu l’unico a riuscire a raggiungermi. Gettai il capo lontano da me, il quale rotolò fra la polvere. Mi si lanciò addosso, come un leone che tenta di acchiappare una gazzella. Cademmo entrambi a terra. La spada scivolò via. Era diventato una furia. Non ci risparmiammo. Lasciai che affondasse i suoi primi pugni, tanto per fargli credere che potesse farcela. Ma in un attimo ci scambiammo i ruoli. Ora era lui con la schiena al suolo ed io l’aggressore. Le mie mani fremevano dalla voglia di massacrarlo ed io non mi opposi. Le nocche si abbattevano sul suo corpo, tanto da percepire le ossa. L’avrei ucciso di botte. No armi, niente di materiale. Solo io e lui. Divenne livido in poco tempo. La faccia gonfia, l’occhio nero e iniettato di sangue. Grondante di cremisi. Una mano stringeva il colletto della sua maglia, in modo da fargli alzare la testa, e l’altra si gettava su di lui. Intorno a noi vi erano urla, spari. Ma tutto mi sembrava ovattato, confuso. Ero concentrato unicamente sulla mia vittima, così tanto da non rendermi conto cosa stesse avvenendo nelle vicinanze. Gemeva dal dolore, era vicino ad uno svenimento. Mancava poco. Poi, un getto di sangue si riversò su di lui. I muscoli vibrarono. Una lama. La katana affiorava dal mio addome. Le mani ebbero uno spasmo, permettendo alla testa di Rick di ricadere a terra. L’arma bianca fu estratta. Fu in quel preciso istante che avvertii l’intensità del dolore. Stramazzai, cadendo di lato. Vidi il cielo, il fumo. Qualcuno sollevò l’uomo che tanto disprezzavo. Scapparono. Tutti urlavano e fuggivano. L’ondata di non morti aveva fatto il proprio ingresso, ponendo fine allo scontro. Non poteva finire così, non era questo quello che avevo pianificato. Sarei dovuto uscirne vincitore. Non dovevo morire. Non posso, io non posso morire qui.





    Parte 3

    Kendra


    Qualcosa esplose, granate, auto, non saprei. Mi trovai a terra, dolorante. La testa ruotava, avevo le vertigini, come se fossi stata per troppo tempo su di una giostra. Ogni suono mi giungeva ovattato. Cercai di alzarmi, facendo leva sulle mani, ma non avevo equilibrio. Mi aggrappai a ciò che rimaneva della recinzione, potendo così costatare quale forza catastrofica si fosse abbattuta sulla prigione. Un uomo ferito, dotato di un lanciafiamme, tentava di far arretrare il branco di putrefatti col fuoco, trasformandoli in torce vaganti. Zoppicai a fatica lungo la rete, muovendomi a piccoli ed incerti passi. In lontananza vidi Glenn gettarsi nella boscaglia, in fuga. Mi guardai velocemente attorno, nella speranza di scorgere qualcuno del gruppo, ma non trovai nessuno. Temetti di vedere i loro volti fra i corpi seminati nel cortile, ma fortunatamente non ve ne era l’ombra. Certo, non potevo comunque esserne sicura, fiamme e polvere avevano occupato l’aria, rendendo difficile l’orientamento. Ricordai l’urlo di Rick, l’ultima cosa che avevo udito perfettamente. Portai immediatamente lo sguardo alla porta del blocco. Corsi, allontanando i putridi che mi si schieravano davanti a colpi di tubo di ferro, il quale avevo raccolto vicino ad un rottame di un’auto. Era pericoloso restare nel perimetro, dovevo assolutamente fuggire. Caddi sulle ginocchia non appena vidi Philip disteso a terra, con le mani occupate a premere una ferita all’addome. Sgorgava molto sangue, come una sorgente. Mi avvicinai carponi. Sollevai la sua testa, accarezzando per un’ultima volta i suoi morbidi capelli. Il suo occhio glaciale mi guardava, con fare perso, come se vedesse altro intorno alla mia figura. Stava morendo lentamente, circondato dal caos che egli stesso aveva partorito. Era stato un bastardo, un assassino, un vero e proprio mietitore. Mi avrebbe uccisa senza esitazione, eppure non potevo evitar quella strana sensazione che la sua immagine mi offriva, pietà. Aveva perso tutto a causa della sua follia ed ingordigia di potere. Le palpebre si chiusero, come le tende di un sipario al termine dello spettacolo, e le sue mani scivolarono lungo il corpo. Avrei dovuto sparargli, un colpo preciso alla fronte. L’idea che si potesse trasformare mi schifava quasi. Afferrai tremolante la glock, puntando la canna a quello che ormai era un cadavere. Cazzo. Non riuscivo a premere quel dannato grilletto, non comprendendo quale fottutissima ragione me lo impedisse. Rinfoderai la pistola ed abbandonai quel corpo. Gettai via il tubo ed arrancai verso un buco nella recinzione, squarcio che mi avrebbe permesso di fuggire nella vegetazione. Il mio piede si scontrò con qualcosa di metallico, obbligandomi ad abbassare lo sguardo per capire cosa fosse. Notai la balestra di Daryl, ricoperta di terra. La scossi, rimuovendo lo strato di sporco più superficiale, e la indossai per la tracolla. Ma i miei occhi furono catturati da un altro particolare, particolare che avrei preferito trascurare. La gola si infiammò, provocando una leggere lacrimazione ai bulbi oculari, ma non piansi, trattenendo così quelle lacrime salate. La testa di Hershel era viva. Il processo di trasformazione si era già compiuto. Le iridi sembravano ricoperte da un velo grigio. La bocca era spalancata, attenta a mordere l’aria. Il branco di zombi si accorse di me, dopo aver divorato quel coraggioso soldato. Era arrivato il momento di scappare a gambe levate, ma non potevo lasciare lì Hersh, in quelle condizioni. Scusami. Affondai nella sua tempia il tirapugni bilama, dandogli così la pace che meritava. Presi fra le mie braccia quella testa, decisa di seppellirlo una volta al sicuro. Oltrepassai il recinto d’acciaio e mi tuffai in quell’oceano muschiato.
     
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